C’era una volta Taylor Swift (e i suoi 15 fan)

L’avevamo incontrata in tempi non sospetti: ci aveva parlato d’amore, Socrate, alberi di Natale. Intervista con Taylor Swift prima che diventasse Taylor Swift (spoiler: la saggezza c'era già)
Taylor Swift

Lo confesso: ho conosciuto Taylor Swift nel 2010, quando non se la filava nessuno. La cosa è andata così. Mi propongono di intervistare «una giovanissima cantante country» che «certo, non è nota nel nostro Paese né c’è la benché minima possibilità che il country diventi un genere forte da noi», ma in America vende dischi, ha solo 20 anni e laggiù sta per uscire il suo terzo, Speak Now, per il secondo (Fearless) ha vinto il Grammy come «miglior album» e Lady Gaga dice di cantare le sue canzoni sotto la doccia. Qui in Italia invece ci tengono a precisare per sicurezza che il suo cognome si pronuncia «suift», «come il più noto Jonathan, quello dei Gulliver's Travels», e per farmi capire il suo genere musicale partono paragoni surreali («non pensare a Dolly Parton, piuttosto è una “Avril Lavigne”, country ma anche pop e un po' punk»). In effetti mi ricordo di avere visto questa ragazza bionda con la chitarra in un servizio sui Grammy di un Tg qualche mese prima… Vado su Internet e spunta un dettaglio: da noi le ragazzine impazziscono per i Jonas Brothers, e il loro film Jonas Brothers: the 3D Concert Experience sta spopolando: Taylor è stata fidanzata con Joe Jonas. In più, o forse soprattutto, ci sono delle foto pazzesche di Annie Liebovitz. Il direttore dice sì, prendiamo nota dell’appuntamento, la incontreremo.

Il primo concerto di Taylor Swift in Italia arriverà solo un anno dopo, a novembre 2011, ma fino a quel momento da noi è solo una qualunque ventenne che scrive canzoni d’amore (malinconico). Adesso che il 13 e 14 luglio è a Milano per la tappa italiana dell’Eras Tour, ed è la seconda volta che viene a suonare in Italia, sono passate appunto ere, geologiche quasi, i fan sono milioni, gli ultimi biglietti vanno dagli 800 a oltre i 4 mila euro, è suo il film del concerto live più visto del mondo, i concerti provocano terremoti da quante persone concentrano, il Pil degli Usa è spinto da lei, orienta le elezioni, tutti i giornali le chiedono interviste, la mettono in copertina (Time) come persona dell’anno, e nei talk show ci si chiede quanti voti sposti.

«Massimo 5 mila battute», mi dicono in redazione. «Massimo 15 minuti» mi dicono prima dell’intervista. La sproporzione si nota subito: fuori dall’albergo che ospita Taylor Swift vedo solo 15 fan tra i 12 e i 16 anni (più un tizio vestito da cowboy che fa il deejay di una web radio di country). Ma la realtà della cantautrice è già un’altra: lo staff che le ruota intorno è una macchina da guerra. Almeno una decina di persone si occupano dei suoi strumenti musicali (che porta con sé), trucco, capelli, abiti, cibo (sano), spostamenti, interviste, capricci. Anche la madre l’accompagna ovunque in questo tour promozionale, per la prima volta fuori dagli States. Me lo dicono e mi fa subito tenerezza, ma sbaglio: non è una questione di insicurezza, «sono io che preferisco averla con me», mi spiega, con l'aria che avrebbe potuto avere Elvis nel 1975 circondato da sciacalli. «È importante avere almeno una persona sincera nella stanza, una che ti dice davvero la verità, e non una massa di gente che ti dà ragione». Un via vai di addetti stampa fa filtrare che hanno molta paura delle domande che posso farle, sperano che non la metta in difficoltà perché «è estremamente sensibile». Però lei invece è molto rilassata. E parla. E ride spesso. Ecco il nostro dialogo davanti a una ciotola piena di frutta, 7 minuti tempo di lettura, alla fine 7 mila battute.

Lei ha definito queste canzoni «lettere aperte». Spedite a chi?
«Sono 14 canzoni scritte per, o su, persone con cui ho avuto dei rapporti. Parlano di dolore e amore, di relazioni in cui si sta, oppure di relazioni finite».

Deve averne avute un sacco.
«In realtà sono sempre stata una ragazza timida. Alle feste ero sempre quella che stava nell’angolo e che nessuno invitava a ballare. È su questo che ho scritto i miei primi pezzi. Poi è arrivato il successo e ho conosciuto tantissime persone. Qualche conoscenza si è trasformata in amore, e ho imparato molto, facendo tanti errori».

Tipo?
«A volte credi che puoi cambiare la persona che ti piace, e pensi che solo tu ci riuscirai, così insisti e continui a sperare in svolte che non arrivano mai: invece sarebbe meglio lasciar perdere, e ascoltare gli amici che ti dicono “quella persona non fa per te, non ti assomiglia”».

Quindi, che cosa ha imparato?
«La prima cosa e la più importante: che non so nulla rispetto a quello che potrei sapere domani, o tra cinque minuti».

Sa di non sapere, come Socrate.
«Esatto. Avere a mente che non so nulla è importante: da una parte mi consente di essere aperta al nuovo, di lasciarmi sorprendere dalla vita, dall’altra non mi fa rimuginare sul presente. Sa quelle paranoie molto femminili, tipo: chiamerà o non chiamerà? Se non chiama è perché sicuramente... Ecco, io “sicuramente” l’ho bandito dal mio vocabolario».

A proposito di chiamate, gira voce che Joe Jonas, con cui ebbe una relazione durante le riprese del film dei Jonas Brothers, l’abbia lasciata per telefono. È vero?
«Verissimo: in 27 secondi. Diciamo che, quella volta, avevo 18 anni e sono stata molto male, non avevo ancora imparato la lezione. E per molto tempo, dopo, è stato impossibile non pensarci: l’immagine dei Jonas Brothers è ovunque, dai poster per strada ai porta-penne, un incubo. Ma ormai è acqua passata e non ne voglio più parlare».

C’è una canzone dedicata anche a lui?
«Sì: in questo disco racconto le mie esperienze degli ultimi due anni. Ma non si parla solo di quelli che mi hanno lasciato. Nelle nuove canzoni sono quella ferita, ma anche quella che ha ferito. Stare da entrambe le parti della barricata ti insegna moltissimo sull’amore. Quando ti tradiscono dici: è un bastardo, io non l’avrei mai fatto, io lo amavo davvero. Quando ti capita di tradire diventi più tollerante, e capisci che non è tutto bianco o nero. Dopo un po’ di tempo, con un distacco maggiore, riesci a dire cose che al momento non potevi dire, perché non le sapevi».

Lei recupera ora.
«Ho la fortuna di poter scrivere delle canzoni per riparare, ma a tutti gli altri dico: siete sempre in tempo. Se dovete chiedere scusa, oppure dovete dire a qualcuno che lo amate, ma non ce la fate a parlare, sedetevi e scrivete una lettera. Fatelo ora».

Dopo Joe, ha detto di voler trovare «l’uomo giusto». Ci è riuscita?
«Credo sia importante essere aperti per trovare qualcuno. Ma è difficile per me fidarmi, soprattutto ora che sono sotto i riflettori: non capisci mai se uno si avvicina perché è sincero o perché sei famosa».

È innamorata?
«Non lo so. È davvero difficile da dire».

È in coppia?
«Non so nemmeno questo. “È complicato”, come si scrive su Facebook. Ma, per come sono fatta, non me ne preoccupo. Non sono una che si sveglia e ci pensa. L’amore, per fortuna, non si può programmare».

Lei viene dalla Pennsylvania ed è cresciuta in una fattoria dove si tagliavano e vendevano alberi di Natale. Che rapporto ha, oggi, con le Feste?
«Sarebbe stato facile odiare il Natale, vero? Tutto l’anno avevo intorno abeti e, compiendo gli anni il 13 dicembre, alle mie feste di compleanno c’erano sempre di mezzo i regali di Natale. Invece di ribellarmi, però, ne sono diventata ossessionata. Adoro la neve, i maglioni, le sciarpe, e tutto ciò che fa vacanza natalizia».

Che regalo vorrebbe, quest’anno, per il 25 dicembre?
«Un paio di scarpe Oxford, o un cappello. Se immaginava che rispondessi “Più tempo per dedicarmi ai miei familiari”, la devo deludere. Un paio di giorni qui e là bastano, ma non ho bisogno di molto tempo libero. Quando l’ho avuto sono diventata pazza, mi annoiavo. Mi piace essere indaffarata, sentirmi stanca la sera».