Laura Rogora, arrampicando fino a Parigi

L'ufficializzazione della qualificazione è arrivata dopo la metà di giugno. La campionessa azzurra di arrampicata, che studia matematica, partecipa alle sue seconde Olimpiadi. Giovedì 8 agosto è in semifinale con l'altra azzurra Camilla Moroni
Laura Rogora
Laura RogoraMarco Kost/Getty Images

Quando le abbiamo parlato, alcuni mesi fa, Laura Rogora spiegava che uno degli appuntamenti chiave per qualificarsi alle Olimpiadi di Parigi 2024 era a Budapest a giugno, nella seconda tappa delle Olympic Qualifier Series, e qui la campionessa di arrampicata ha ottenuto il pass per i giochi, i suoi secondi giochi olimpici dopo quelli dell'esordio, suo e della disciplina che pratica, a Tokyo tre anni fa.

Romana, classe 2001, portata dal papà ad arrampicare fin da piccola, gareggia nell'arrampicata sportiva, boulder&lead. Gareggia martedì 6 agosto, semifinale boulder, giovedì 8 semifinale lead ed eventuali finali sabato 10 agosto, il giorno prima della chiusura dei giochi. «A Tokyo ci siamo resi tutti contro che questa è una gara completamente diversa dalle altre, per la pressione, per il fatto che viene ogni quattro anni, per la presenza di tanti altri atleti».

Da sport di nicchia alle Olimpiadi l'arrampicata è cresciuta moltissimo. «Lo dicono i numeri degli iscritti alla federazione, ma anche i tanti che praticano senza essere iscritti. Quando ho iniziato a fare le gare in Coppa Italia 10 anni fa, c'erano 25 persone adesso, nonostante sia stato introdotto il numero chiuso, ce ne sono 100». Aveva 13 anni a quelle prime gare di Coppa Italia. «Ho cominciato a pensare che potesse essere la mia carriera verso i 13-14 quando ho fatto le mie prime gare internazionali, ho cominciato a conoscere atleti più grandi italiani che facevano parte dei gruppi sportivi, per cui avevano trasformato l'arrampicata nel loro lavoro. Adesso anche i gruppi sportivi stanno stanno prendendo sempre più più persone e ho capito che magari potevo potevo trasformare questa passione in un lavoro».

L'altra passione è sempre la matematica. «Studio matematica più per passione che per utilità, non so se poi lavorerò mai nel mondo della matematica. A scuola è sempre stata la materia che mi è piaciuta di più. Quando ho finito la scuola non sapevo se iscrivermi all'università o no, però sapevo che se avessi scelto di iscrivermi l'unica scelta sarebbe stata matematica».

In arrampicata ci sono tre specialità separate che in realtà poi per le Olimpiadi sono state accorpate. «A Tokyo avevamo una sola medaglia: la combinata tra tutte e tre queste specialità che sono la speed con percorso facile e sempre uguale in cui vince chi va più veloce. A Parigi questa specialità ha una medaglia a sé. Questa è nata proprio in ambito esclusivamente sportivo. Le altre vengono dalla roccia e dalla montagna. Il boulder si fa su percorsi bassi, massimo 4 metri, con i materassi sotto. Vince chi ne riesce a fare di più in un limite di tempo. La lead è quella che si fa con la corda su pareti di 15 metri. Il tracciato è complesso ed è importante la resistenza perché è un po' più lungo e vince chi va più in alto. «La mia specialità è la lead, poi per le olimpiadi di Tokyo ho dovuto farle tutte e tre e per Parigi due».

«In gara i pensieri sono prima e dopo, nel mezzo c'è la concentrazione, preferiscono non avere altri pensieri. L'arrampicata su roccia resta per me un divertimento, ma anche qui nel momento dello sforzo preferisco non avere altri pensieri, mentre riposo, magari sì, penso alla sezione successiva». Dopo fare un'arrampicata? Il Trentino, ovviamente, Arco in particolare. «Consiglierei il mio sport a tutti e in particolare ai ragazzi perché è uno sport individuale con tanti momenti di condivisione sia in palestra, ma soprattutto anche all'esterno e quindi è una grande opportunità per condividere una giornata con gli amici all'aperto facendo qualcosa di divertente».

Da bambina aveva paura anche lei di andare in alto, di volare con la corda. «Pian piano questa paura si supera perché ci si rende conto che in realtà è tutto assolutamente insicurezza e, se si fanno le cose bene, il rischio è molto limitato». Per lei il divertimento non se ne è andato con il professionismo. A fine stagione può essere stanca delle gare, non dell'arrampicare. «Sono sicura che, anche se smettessi con le gare poi continuerai comunque con la falesia».

«La mia famiglia è stata di grandissimo supporto. Mi hanno sempre portata in giro per le gare e per gli allenamenti. All'inizio è stato mio papà a portarmi ad arrampicare, a mia mamma non piace tanto lo sport in generale, poi soffre di vertigini, per cui non ha mai arrampicato, però comunque c'è sempre e forse è più appassionata lei di mio papà».

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Quando non arrampica o studia, il tempo è dedicato agli amici con cui si fanno passeggiate e ci si arrampica. D'inverno si allena si allena sei giorni a settimana, una o due volte al giorno. Lo fa a Milano per tornare a Trento nel weekend. Su Instagram supera i 100 mila follower. «Uso i social principalmente per condividere i miei risultati in gara o sulla roccia. Non condivido cose troppo personali».

Vede posti bellissimi da prospettive estremamente personali e particolari. «Il bello dell'arrampicata è anche quello andare in posti dove non saresti mai stato. A volte le falesie sono in paesini sperduti della Spagna che in realtà sono bellissimi».