Lilli Gruber: «I miei genitori mi hanno dato un'educazione sessuale, ma sono un'eccezione. Oggi stiamo delegando quella delle nuove generazioni alla pornografia mainstream»

L'elevata fruizione di porno gratuito online nel nostro Paese. L'età media di accesso sempre più bassa. La visione distorta del piacere. La perdita dell'erotismo. Nel suo nuovo libro, la giornalista e scrittrice indaga un fenomeno che ha raggiunto dimensioni gigantesche, con meccanismi economici subdoli e implicazioni sociali molto pericolose. Abbiamo fatto il punto insieme a lei
MILAN ITALY  DECEMBER 02  Lilli Gruber attends 'Che Tempo Che Fa' Italian TV Show on December 2 2012 in Milan Italy.
MILAN, ITALY - DECEMBER 02: Lilli Gruber attends 'Che Tempo Che Fa' Italian TV Show on December 2, 2012 in Milan, Italy. (Photo by Stefania D'Alessandro/Getty Images)Stefania D'Alessandro/Getty Images

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Il primo film per adulti Lilli Gruber racconta di averlo visto a Londra quando aveva 16 anni. Erano i tempi del porno-chic, quelli delle produzioni a luci rosse di nicchia, onerose e quasi clandestine. Produzioni lontane anni luce da quelle «industriali» che a partire dagli anni Duemila - grazie alla banda larga, ai portali dell'hard e agli smartphone - avrebbero sancito l'esplosione consumistica di un porno fatto di fruizioni rapide, individuali, illimitate e soprattutto gratuite.

«Mi sono sono sempre occupa di questioni cruciali che riguardano le ragazze», dice la giornalista, anchor woman, autrice di best seller quando la raggiungiamo al telefono. Questa volta ha voluto farlo con Non farti fottere - Come il supermercato del porno online ti ruba fantasia, desiderio e dati personali, perché «considerato che protagoniste assolute della pornografia sono le donne - quasi sempre in ruoli sottomessi - è chiaro che la nostra immagine non ne esce molto rafforzata da questo porno mainstream, dove anche il desiderio femminile è completamente lasciato da parte ed è tutto a disposizione dell'esplosione del piacere maschile».

Le duecento e più pagine del libro sono ricche di dati, notizie e interviste con cui l'autrice ha indagato i meccanismi economici e le implicazioni sociali di un fenomeno che ha raggiunto oggi dimensioni colossali. E che sta anche pericolosamente agendo sul tessuto socioculturale, influenzando la percezione che le nuove generazioni hanno della sessualità.

Lilli Gruber, Non farti fottere. Come il supermercato del porno online ti ruba fantasia, desiderio e dati personali

«La prima parola che mi veniva in mente, mentre riflettevo sull'idea del libro, era “pornificazione” della società», spiega. «Oggi è tutto sessualizzato, fin dalla tenera età: film, pubblicità, serie tv, spesso la stessa informazione». Lungi da intenti moralistici, quando ha cominciato a fare un po' di ricerche è quindi scattata la tipica curiosità del giornalista: «Ho desiderato capire chi sta dietro a tutto questo porno online, come funziona, perché sta avendo questa forte incidenza sulla nostra società».

Nel libro, Lilli Gruber cita anche gli ultimi eclatanti fatti di cronaca che hanno avuto per protagonisti dei giovani e che hanno risvegliato la coscienza di tutti: lo stupro di Palermo e quello di Caivano. «Hanno acceso un faro su un fenomeno e spinto a porsi delle domande. Per esempio, dove o da chi questi minorenni apprendono la gang bang, lo stupro di gruppo e tutta una serie di altre pratiche sessuali? Le trovano sul porno mainstream, dove gira una mole di contenuti del tutto gratuiti a cui anche i più giovani riescono spesso ad accedere».

Tutto questo mette in evidenza un altro grande e dibattuto tema del momento: l'educazione affettiva e sessuale delle nuove generazioni. Perché «che i genitori abbiano qualche remora a parlare di sesso e di sessualità con i loro figli lo puoi anche capire, e anche che i figli non vogliano parlare di sesso con i loro genitori. Ma è per questo che ci vorrebbe l'intervento della scuola, che può ingaggiare le competenze necessarie per dare a bambini e ragazzi tutte le informazioni necessarie. Non è che poi non andranno più a vedere il porno sul loro smartphone, magari lo faranno, ma almeno sapranno con che cosa hanno a che fare, che quella è finzione, che i rapporti sessuali sentimentali non sono il porno più estremo, che non è quella la cosiddetta “normalità”».

Nel libro spicca la dedica ai suoi genitori: A Herlinde e ad Alfred, che mi hanno insegnato a crescere libera. Che cosa hanno fatto esattamente?
«Mi hanno dato un'educazione sessuale da bambina e da ragazzina, ma credo di essere stata, allora come oggi, un'assoluta eccezione.  A 16 anni sono stata mandata da sola in Gran Bretagna per perfezionare l'inglese. Ero ospite di una famiglia ed era la Gran Bretagna degli anni '70, con una grande libertà su tutti i fronti. I miei genitori mi hanno dato informazioni e consapevolezza sessuale. Chiaro che anch'io con la mia curiosità ho esplorato e scoperto cose che ovviamente loro non potevano dirmi - ed è giusto che sia così - ma almeno non mi sono trovata come Alice nel Paese delle Meraviglie. Altra cosa molto importante è che insieme alla libertà hanno sempre preteso anche la responsabilità, due cose che devono andare a braccetto. Mio padre diceva sempre: “Non c'è nessun problema: puoi andare in vacanza con le amiche, ma sappi che sei responsabile di quello che accade e non accade”. Un'opera di responsabilizzazione fondamentale quando si è giovani».

Qual è il dato rilevato che l’ha più stupita nella sua indagine sul porno e perché?
«Il campo è così vasto che le scoperte sono state molte. Ma tra i dati più preoccupanti ci sono senz’altro quelli che rilevano quanta pornografia consumino appunto i giovani e i giovanissimi. Età media d’accesso al porno: 12 anni. In un sondaggio, il 79% dei ragazzi intervistati afferma di aver appreso come fare sesso grazie ai siti hard, e il 27% si dice convinto siano "una rappresentazione accurata di come fa sesso la maggioranza delle persone". In pratica, stiamo delegando l’educazione sessuale di intere generazioni alla pornografia mainstream. Il cui scopo non è certo far crescere ragazzi sani, felici e capaci di dare e ricevere piacere, ma piuttosto farne dei consumatori sempre più compulsivi».

E il punto di vista sul porno che più l’ha colpita nel corso delle sue interviste?
«Rosi Braidotti, sempre colta e originale, ha parlato di un proletariato dei corpi: la pornografia si nutre troppo spesso di persone la cui unica possibilità per sopravvivere è vendere l’unica cosa che hanno, il loro corpo. Braidotti menziona altre forme di questa deriva del nostro sistema economico, dal mercato degli organi all’utero in affitto. Mi interessa questo approccio perché è un modo di guardare la pornografia non morale, ma etico. Inserendola in un discorso più ampio su quale sistema di valori stiamo costruendo, e quanto vale l’essere umano nella nostra idea di mondo».

In che modo il porno accessibile sta influenzando la nostra sessualità?
«La pornografia usata da adulti consapevoli è semplicemente una forma di intrattenimento. Sono tanti gli elementi che influenzano la nostra sessualità, nella vita, e se vogliamo essere influenzati dal porno siamo liberi di farlo. Il problema del porno accessibile e gratuito online è che non viene fruito da adulti consapevoli, ma da giovani con una conoscenza ancora imperfetta del loro corpo e delle relazioni, che vogliono imparare le vie del piacere. E invece imparano troppo spesso quelle della sopraffazione e della violenza».

La pornografia è una vera emergenza: che cosa non si sta facendo?
«Non si sta parlando. Non ne parliamo tanto nelle famiglie, dove regna un imbarazzo difficile da vincere, e anche comprensibile, tra le diverse generazioni. Non ne parliamo a scuola, dato che i programmi ministeriali non contemplano l’educazione sessuale, come invece fanno quelli di quasi tutti gli altri Paesi d’Europa - a non averla siamo rimasti in sei. Non ne parliamo nel dibattito mediatico e istituzionale anche per via della doppia morale cattolica tipica dell’Italia: certe cose si fanno ma non si dicono. Ma le emergenze non si risolvono facendo finta di niente».

Si è fatta un’idea del perché gli italiani sono tra i maggiori consumatori al mondo di porno?
«La storia della pornografia va di pari passo con quella della tecnologia, e in Italia, secondo il rapporto Digital 2024, in media passiamo 5 ore e 49 minuti connessi a Internet. Mi sembra ragionevole pensare che in quel tempo entrino dieci minuti, o più, di video porno».

Che problema abbiamo in Italia con l’educazione sessuale?
«Lo stesso che abbiamo con molte altre questioni: un approccio ideologico e scarsamente analitico. Ideologiche sono quelle parti delle istituzioni che invece di prendere in carico il problema osteggiano qualsiasi soluzione, gridando allo scandalo, o alla minaccia che una non meglio specificata “ideologia gender” costituirebbe per i giovani e per la morale pubblica. Ingenue sono certe famiglie che temono di vedere i loro figli “contaminati” da nozioni e immagini relative al sesso, senza considerare che i loro figli già vedono girare quelle immagini ovunque, sul proprio smartphone o su quello dei compagni di classe. L’alternativa a educarli alla sessualità non è mantenerli casti e puri, è mantenerli ignoranti e vulnerabili».

Come si concilia l'esaltazione della famiglia di questo governo e del Vaticano con il business italiano del porno?
«A giudicare dalle loro scelte di vita, direi che alla maggior parte dei leader di questo governo piaccia la famiglia tradizionale, ma nelle case degli altri. Quanto al Vaticano, a spezzare il silenzio ipocrita su questo tema ci ha pensato papa Francesco in persona, condannando anche l’uso della pornografia da parte dei religiosi. E’ la doppia morale di cui si parlava prima, e non è certo una novità. La novità è che non possiamo più permettercela».

È significativo il fatto che la scena pornografica oggi più attiva sia nell’Europa dell’Est e che un Paese ultraconservatore come l’Ungheria sia tra i più richiesti dall’industria per adulti. Come si spiega?
«Con il basso costo del lavoro. Il motivo principale per cui tanti produttori pornografici sono “migrati” a est, aprendo anche degli studios in capitali del porno come Praga o Budapest, è un motivo economico: tutto costa molto meno, innanzitutto sono molto inferiori i compensi per attori e attrici. Mario Salieri spiega bene questa dinamica nell’intervista e parla di un “serbatoio” di ragazze dell’Est disposte a impiegarsi come attrici porno, secondo lui anche perché più portate per questa forma d’arte. Secondo me più che altro perché i compensi, per quanto bassi, sono molto più alti di quelli che otterrebbero con altri mestieri».

Nel suo libro c’è spazio anche per le origini del cinema hard. Che cosa è cambiato dall’uscita di Gola Profonda nel 1974 e l’attuale fruizione dei contenuti porno?
«Tutto. In primo luogo, come dicevamo, le tecnologie. Ai tempi di Gola profonda, per fare un film porno ci volevano apparecchiature costose e per guardarlo ci voleva un cinema. Oggi si girano i video hard con lo smartphone e sullo stesso smartphone li si guarda gratis. Il mercato è cambiato di conseguenza, diventando un mercato di massa, ed è dominato da pochi grandi colossi il cui modello di business si basa sulla gratuità e sulla pirateria. L’unica cosa che non è cambiata è il coinvolgimento del crimine: nel 1974 Gola Profonda fu finanziato dalla mafia italiana in America, oggi la criminalità organizzata approfitta delle zone grigie di sfruttamento e illegalità presenti nel mondo della pornografia».

Chi sono i «magnaccia virtuali» e cosa fanno di molto pericoloso?
«Nuove dinamiche di mercato generano nuovi mestieri e uno di questi è quello dei magnaccia virtuali di Onlyfans, oggetto di un’interessante inchiesta del New York Times Magazine. Sono persone che gestiscono i profili Onlyfans di diverse ragazze, interagendo con i clienti, chattando con loro a pagamento, convincendoli ad abbonarsi o a comprare materiali premium “esclusivi”, che poi in realtà vengono venduti a più di una persona. Questa professione si fonda su una menzogna, o perlomeno su un’illusione: perché su Onlyfans i clienti cercano proprio l’intimità, l’interazione con la loro “creator” di riferimento. Ma mentre credono di scambiarsi messaggi hot con Candy98 stanno scrivendo sconcezze a un ventenne brufoloso di Los Angeles molto simile al loro figlio adolescente. Più che pericoloso, lo trovo triste: dice molto delle nostre carenze e del tipo di società che stiamo costruendo».

Il libro affronta anche la delicatissima questione dell’AI applicata al porno. Quali sono i rischi che si stanno sottovalutando?
«L’AI è un tema gigantesco e il porno non ne è che una piccola parte, ma alcune professioniste del settore ci hanno trovato un’opportunità: creano un avatar che compia le più faticose prodezze sessuali al loro posto, vendono i video e si riposano. In quest’ottica, sul lungo periodo la pornografia potrebbe diventare uno di quei mestieri che gli esseri umani non hanno più bisogno di fare. Il problema è solo distinguere tra realtà e fantasia: l’AI diventa pericolosa quando genera mondi virtuali che le persone scambiano per reali. Questo vale per le fake news con le finte fotografie o video, che possono confondere e orientare l’opinione pubblica, e vale per i deepfake pornografici, che usano i volti di persone reali per mostrarle in situazioni pornografiche immaginarie. Contro queste derive dell’uso dell’AI lavorano naturalmente la polizia postale e la magistratura, ma serve anche una campagna di educazione di massa, perché solo la conoscenza, la consapevolezza nella gestione delle fonti di informazione, la responsabilità etica personale possono guidarci nel distinguere il vero dal falso e il giusto dallo sbagliato».

Lei ha sottolineato anche l’importanza di una nuova alfabetizzazione, non solo alla pornografia, ma anche all’erotismo: che cosa si sta perdendo nell’approccio alla sessualità?
«L’eros. Sembra un controsenso ma stiamo andando verso un sesso senza erotismo. La pornografia gratuita online ci può dare piacere, ma se riduciamo il concetto di piacere a un orgasmo ci perdiamo tutto il resto, le mille sfumature del desiderio, che sono fatte anche di attesa, anticipazione, uso dei cinque sensi e non solo della vista. Io spero che le giovani generazioni, dopo l’orgia di fiction e di porno con cui le abbiamo sommerse, forse per reazione arriveranno a rivalutare la vita vera e le relazioni reali».

Roberto D’Agostino - da lei intervistato - ha dichiarato che «La pornografia è una vitamina che esalta il desiderio», una visione «positiva» ribadita anche da Rocco Siffredi. Ci può essere una fruizione «sana» dei contenuti porno?
«Certo che sì, e ci sono anche contenuti porno di qualità. Ma non sono la maggioranza. La visione di D’Agostino è in questo senso romantica, lui ha in mente una pornografia e un tipo di fruizione che appartengono alla cosiddetta “età dell’oro”, tra gli anni Settanta e i Novanta, quando c'erano film con una regia e una trama per quanto esile, e il mondo hard aveva uno star system. Oggi tutto questo non esiste più e siamo nel regno dei video da dieci minuti, ripetitivi, standardizzati, spesso violenti, popolati da corpi intercambiabili. Una pornografia in cui il punto non è il desiderio né l’erotismo ma la soddisfazione veloce di un bisogno di piacere o sfogo fisico, neanche fosse una pratica da sbrigare all’anagrafe. Quanto a Siffredi, ultimamente lo abbiamo visto spesso in televisione lamentare i danni prodotti da questa pornografia, ma aggiungendo che non c’è un problema di maschilismo perché il 98% delle protagoniste dei porno sono donne e gli uomini si limitano a pagare. Magari Siffredi è anche sincero nel dire questa sciocchezza, trovo più strano che nessuno dei suoi interlocutori gli faccia mai notare che, secondo questa logica, i posti più femministi del mondo sarebbero gli harem e i bordelli. Ma la verità è che le domande davvero hard, al re del porno, non le fa nessuno».