Segreti, curiosità e icone del Met Gala in un nuovo libro da collezione. L'intervista all'autrice

In attesa della serata più sospirata dal mondo della moda e non solo, andiamo alla scoperta del primo volume a scavare nella sua storia, nei look più memorabili e nei momenti - ingiustamente - dimenticati: Fashion's Big Night Out
Met Gala Vivienne Westwood Andreas Kronthaler e Lily Cole all'inaugurazione della mostra «Punk Chaos to Couture»
Getty Images

Il countdown per il primo lunedì di maggio è ormai agli sgoccioli: sebbene non si tratti di una festività o giornata sacra - come potrebbe suonare - il Met Gala è indubbiamente una serata dall'alta carica rituale. Evento faro di glamour, cultura e filantropia definito con ragione «la notte più importante della moda», riunisce e fa sfilare un eclettico mix di luminari provenienti non solo dal fashion system, ma anche dallo spettacolo e dell'alta società, per raccogliere fondi destinati al prestigioso Costume Institute.

Tuttavia, il patinato evento non ha sempre avuto lo stesso format, né tantomeno l'eco mediatica odierna. Come, quindi, il Met Gala è passato dallo status di semplice raccolta fondi a quello di ricevimento più mondano, fotografato e condiviso di sempre, paragonabile solo alla premiazione degli Oscar?

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A svelarne gli arcani ci pensa Kristen Bateman, scrittrice di New York, nel libro Fashion's Big Night Out. L'autrice racconta nel dettaglio, accompagnata da splendide immagini storiche e contemporanee e dalla prefazione di Jeremy Scott, l'evoluzione del Met Gala dal 1948, quando la visionaria pr Eleanor Lambert ne concepì l'idea. Da quel momento la luccicante serata ha attraversato luoghi, a partire dalle sontuose sale del Waldorf Astoria sino alle venerabili mura del Metropolitan Museum of Art stesso, ma anche e soprattutto forme di comunicazione diverse. Tra le pagine del libro infatti, oltre ai look, designer e momenti più memorabili - così come quelli caduti ingiustamente nell'oblio - si ripercorrono gli anni in cui alle redini dell'evento c'era la mitica editor Diana Vreeland, per poi passare all'era, tutt'ora in corso, di Anna Wintour.

Grazie a Vreeland, dal 1972 al 1989 il Met Gala iniziò a presentare alcuni dei tratti fondamentali che lo rendono ciò che è oggi, tra cui la scelta di un tema centrale che legasse la mostra del Costume Institute e la serata inaugurale, ma anche la partecipazione delle star e socialite più influenti, come Jackie Kennedy o Elizabeth Taylor. Eppure, è la guida di Wintour dagli anni '90 in poi che ha reso il Met Gala l'evento opulento e «irraggiungibile» che conosciamo: basti pensare che, se nel 1998 un biglietto per il ricevimento costava attorno ai 2mila dollari, oggi non si potrebbe acquistare sotto i 50mila dollari. Queste e tante altre curiosità nel libro Fashion's Big Night Out, ora disponibile nelle librerie e online, di cui abbiamo discusso con l'autrice Kristen Bateman.

Jackie Kennedy al Met Gala, 1977. Getty Images

Ron Galella/Getty Images

Come descriverebbe «l'energia» di New York City a poche ore dal Met Gala?
«Negli ultimi anni, il Met Gala è diventato un evento culturale a cui tutti sono interessati, non solo gli addetti ai lavori del fashion system. È un ottimo argomento di conversazione per chiunque, in particolare il giorno stesso dell'evento: gli appassionati iniziano infatti a mettersi in fila fuori dal Metropolitan Museum of Art molto presto per avere la possibilità di guardare l'arrivo delle celebrità, anche se da lontano. È caos totale ed eccitazione allo stesso tempo, si può sentire l'impeto della folla. Inoltre, è interessante vedere come le persone all'esterno, sempre di più, si vestano di tutto punto trasformando quello spazio in un piccolo ecosistema performativo».

Si afferma spesso che il Met Gala generi persino più valore mediatico del Super Bowl: quali pensa siano stati i punti di svolta che hanno portato a questa influenza mainstream?
«Oggi si può dire che non esiste al mondo un evento come il Met Gala: nient'altro unisce moda, arte, celebrità, denaro e potere allo stesso modo. È più rilevante persino delle fashion week. È semplicemente l'evento di moda più grande e importante di tutti i tempi. Il punto di svolta che lo ha reso così influente è doppio: da una parte c'è una copertura gigantesca sui social media e sui media tradizionali in ogni continente, ma dall'altra c'è anche un grande alone di mistero su ciò che accade all'interno del ricevimento al museo, per via della politica «niente condivisioni sui social una volta entrati».

La mostra Heavenly Bodies al Met nel 2018. Getty Images

George Pimentel/Getty Images

Al di là della sua allure pop, qual è secondo lei l'impatto decisivo, ma poco «visibile», del Met Gala?
«Ogni anno milioni di persone visitano le mostre legate al Met Gala. Nel 2018 ad esempio, Heavenly Bodies ha attirato più di 1,65 milioni di visitatori, rendendola la mostra più visitata di sempre del Met. In effetti, si potrebbe sostenere che il Met Gala abbia portato maggiore attenzione e clamore non solo all’idea delle mostre di moda nei musei, in quanto iniziative culturali interessanti per chiunque come ogni altra forma d'arte, ma anche che abbia trasmesso l'educazione e la storia della moda alle masse come non mai».

Nel libro parla dell'importanza del Met Gala nel fashion system e in particolare nelle sue forme di narrazione: come sostiene che l'evento abbia contribuito alla loro evoluzione?
«Il Met Gala permette a designer e celebrità di esprimersi in un modo davvero inedito, non si tratta del solito red carpet: il lato più «rischioso» della moda è parte fondamentale e richiesta. Per una notte, vedremo le celebrità indossare alcuni degli abiti più stravaganti di sempre, creati da alcuni dei migliori designer del mondo. È tutta una questione di narrazione della moda, che anche per via di tanta eccentricità e visibilità ne supporta la preservazione, sia in senso materiale grazie ai fondi al Costume Institute, che in senso creativo, nutrendo l'immaginario comune».

La mostra Schiaparelli e Prada: Impossible Conversations al Met nel 2012. Getty Images

Simon Russell/Getty Images

Se dovesse scegliere una sola mostra del Costume Institute del passato da rivedere, quale sarebbe?
«Una delle mie preferite di sempre è stata Schiaparelli e Prada: Impossible Conversations del 2012, perché ha riunito due delle mie designer preferite di tutti i tempi, e anche perché nel corso della storia sono state davvero poche le esposizioni focalizzate esclusivamente su stiliste donne. Inoltre, è stata un'occasione speciale anche perché da quando Elsa Schiaparelli ha smesso di disegnare nel 1954, è incredibilmente raro poterne ammirare il lavoro dal vivo».

Quali invece, le celebrità che negli anni hanno interpretato i temi delle mostre nel modo più anticonvenzionale e interessante?
«Penso che Zendaya e Law Roach facciano sempre un lavoro fantastico integrando la narrazione nei suoi look da tappeto rosso per il Met Gala, superando sempre le aspettative. Mi è piaciuto moltissimo anche il fatto che Cardi B abbia indossato designer emergenti come Chenpeng Studio, tra gli altri. Abbiamo bisogno di vedere più nuovi designer sotto i riflettori».

Zendaya al Met Gala, 2017. Getty Images

Mike Coppola

Quale stilista, nel corso della storia del Met Gala, pensa si sia connesso idealmente alle sue celebrità sul red carpet?
«Jeremy Scott ha creato alcuni dei look del Met Gala più incredibili e iconici di tutti i tempi: è uno dei motivi per cui l'ho scelto per scrivere la prefazione del libro. Porta davvero le cose a un livello superiore, utilizzando materiali non convenzionali a cui non avresti mai pensato, e creando forme di grande ispirazione che combinano umorismo, stile e personalità, dai lampadari agli hamburger».

Lil Kim al Met Gala, 1999. Getty Images

Ron Galella/Getty Images

Quale momento invece, sostiene sia stato ingiustamente dimenticato nel corso degli anni?
«Ho adorato il look Versace, completamente rosa, di Lil Kim nel 1999: penso che sia stato un ottimo esempio di combinazione tra stile personale e carattere, ma anche un vero e proprio modello d'esempio per tantissimi outfit che si vedono oggi in più occasioni. Un'altra delle mie apparizioni preferite è quella di Lily Cole in Vivienne Westwood, nel 2013, con corsetto e gonna lucida. Era Vivienne Westwood al 100%, e la adoro anche perché penso che nel corso degli anni avremmo dovuto vedere sul red carpet molti più abiti firmati da lei».