Cover Story, il film-evento sulla storia di Vanity Fair
Alla fine del film, il direttore Simone Marchetti dà la definizione più efficace: «Vanity Fair è come una cena, in cui ti imbuchi e stai ad ascoltare. È la fiera delle vanità, la fotografia della società in quel momento». In questi ultimi vent'anni in cui è cambiato tutto, anche Vanity Fair, da quel primo numero del 2003 con Monica Bellucci in copertina, ha rivoluzionato immagine, direzione, stile, personaggi, si è adattato allo spirito dei tempi che sempre si rinnova, ma forse esiste uno spirito, una costante che è rimasta invariata. «L'ingrediente magico» lo chiama il regista Cosimo Alemà, che prova a ricercarlo in Cover Story - 20 anni di Vanity Fair, il film diretto da lui, e scritto con Matteo Menduni, prodotto da Condé Nast ed Emma Film e distribuito da Adler Entertainment. Cover Story, presentato ieri sera al teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano, nelle sale il 29, 30 e 31 gennaio, è il film-evento che racconta la storia di Vanity Fair, il settimanale di Condé Nast lanciato in Italia nel 2003, ed è un ritratto di 20 anni di giornalismo, di costume, di spettacolo e di cultura.
In platea e prima sul red carpet, a festeggiare questo compleanno tondo e importante, ci sono, tra gli altri, Ambra Angiolini, Diego Della Valle, Francesco Arca, Biagio Antonacci, Roberto Bolle, Domenico Cuomo, Dardust (che ha composto la colonna sonora del film), Didit Hediprasetyo, Anna Dello Russo, Nadege Dubuspertus, Giacomo Ferrara, Francesca Fagnani, Drusilla Foer, Anna Foglietta, Damiano Gavino, Michela Giraud, Levante, Luigi&Iango, Nicolas Maupas, M¥SS KETA, Eva Riccobono, Claudio Santamaria, Giuliano Sangiorgi e Lea T. Sono qua a festeggiare la storia di Vanity Fair, la serata che si è conclusa con un dinner organizzato insieme a Maison Valentino.
Tutto comincia da quella che Carlo Verdelli, secondo direttore del giornale dopo Marisa Demichei, definisce «l'impresa folle di Giampaolo Grandi», l'ex editore di Condé Nast Italia: convincere la casa madre americana a portare Vanity Fair in Italia e a farlo diventare un settimanale. «Fino a quel momento, nel nostro Paese, il settimanale femminile era concepito come un mezzo con cui le donne potevano distrarsi con un po' di moda e un po' di beauty», ricorda Verdelli, che invece prova a fare a pezzi quel pregiudizio e in breve tempo trasforma Vanity in un caso editoriale. «Ho capito che avevamo raggiunto il punto di svolta con l'intervista a Fiorello in cui, scoppiando a piangere, ci aveva detto che la morte di Pantani lo aveva colpito così tanto perché aveva pensato che al suo posto avrebbe potuto esserci lui: quella frase aveva una caratteristica di verità». La verità nelle interviste, dunque. «E anche quel 5 per cento in più che un personaggio non voleva dirci ma che poi ci diceva: quelle erano le migliori», ricorda Luca Dini, successore di Verdelli. Per Daniela Hamaui, che ha preso la direzione del giornale nel 2017, oggi il giornale è una questione di emotività e di senso di appartenenza: «Oggi nessuno si ferma più veramente a leggere, ma tutti vogliono far parte di un mondo. C'è un rapporto emotivo tra il giornale e i lettori».
Cover Story è un viaggio nel mondo di Vanity Fair, tra i personaggi, i diritti e le battaglie, l'immagine, gli eventi e le nuove generazioni. È un racconto di impressioni e piccole testimonianze, flash e viaggi che restituiscono bene il senso del movimento, del caos creativo e della complessità di questo giornale. C'è Kasia Smutniak che, in una scena toccante del film, ricorda la copertina in cui portò un fotografo e la giornalista Tamara Ferrari in Tibet per la fondazione della sua scuola dedicata a Pietro Taricone: nel momento in cui poggia la prima pietra per terra, il cielo si oscura e manda giù una nevicata improvvisa. «Era Pietro, lo sai?», le dice la giornalista. Vanity è anche questo: un compagno di viaggio delle vite delle celebrity, un narratore dei punti di svolta. C'è Monica Bellucci che rivede i momenti fondamentali della sua, di vita, nelle copertine del giornale: tra tutti, la nascita di Deva e quella foto in cui si vede la mano della bambina sul suo viso. Tiziano Ferro che affidò a Vanity il racconto del suo coming out. Pierfrancesco Favino, dai primi passi alla celebrità massiccia di oggi. Gianna Nannini e la foto di lei incinta con la maglietta con scritto «God is a Woman», che a Vanity deve anche un provino per Basic Instinct 2: Sharon Stone, sul set di un nostro shooting con la condirettrice Cristina Lucchini, rimase colpita e la chiamò per un'audizione. E poi tanti altri, così tanti che a nominarli tutti staremmo qua fino a domani.
Gli ultimi anni, sotto la direzione di Simone Marchetti, sono un altro punto di svolta: «Hai trasformato Vanity in un giornale attivista», è la sintesi della vicedirettrice Antonella Bussi. La campagna per il ddl Zan, contro la violenza sulle donne, a favore della diversità e dell'inclusione, i numeri contro il razzismo, e di recente quello diretto da Michela Murgia, pochi mesi prima di morire, quello sulla famiglia queer. Si sta in bilico sul pianto quando sullo schermo compaiono le scene di Marchetti e della redazione con Michela Murgia: le riunioni in zoom, l'intervista, le confessioni personali e la sua battaglia per i diritti delle famiglie non tradizionali, lei che porta una copia di Vanity al Papa. «Siete coraggiosi», dice Michela commossa in una delle ultime scene del film. Il cui bilancio lo fa Simone Marchetti prima dei titoli d'apertura: «Rifarei questo film? No. Era da fare? Sì. È la cosa che senti sempre quando fai qualcosa che ti appassiona e può cambiare il mondo. Abbiamo raccontato storie che raccontano e ispirano il cambiamento. Perché c'è bisogno di sognare».
Tutti gli aggiornamenti in diretta dall'evento live più importante di Vanity Fair
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Il film è reso possibile grazie al main partner Škoda, che è a fianco di Vanity Fair nella celebrazione dei 20 anni del giornale e nel festival Vanity Fair Stories. Con Vanity Fair, Škoda ha in comune l'importanza di vivere appieno ogni chilometro spinti dalla curiosità e dalla voglia di cambiamento.
Si ringrazia anche Swatch, che per i 20 anni di Vanity Fair ha coinvolto quattro artisti - Flora Rabitti, Eileen Akbaraly, Artsi Ifrach e Antoni Tudisco - che hanno interpretato i valori alla base delle scelte di Vanity Fair e Swatch, dando vita a quattro opere che sono diventati orologi in edizione speciale.
Il cocktail prima e dopo la première del film è stato offerto da Campari e Santa Margherita Vini.
Valentino Beauty ha omaggiato gli ospiti con un gift speciale: la fragranza Born in Rome.