La storia delle righe nei tessuti e negli abiti è un'epopea dal grande fascino. Che continua a ispirare gli stilisti, soprattutto d'estate
Orizzontali, verticali, selvagge… Le righe tornano ciclicamente protagoniste nelle collezioni degli stilisti, specialmente quelle estive e primaverili. Indipendentemente da come se le direzioni, asimmetriche o simmetriche, ritmiche oppure irregolari, le righe hanno una carica simbolica potente, che deriva dalla loro storia avventurosa.
Nell'abbigliamento maschile del XVIII secolo, la stampa a righe era estremamente comune. Ma questo motivo finì per diventare onnipresente anche nel guardaroba femminile. Si diffuse a partire dal 1760 e raggiunse il suo apice nel decennio successivo, quando le righe verticali furono abbinate a piccoli rametti di fiori. La pittrice Rose-Adélaïde Ducreux eseguì degli autoritratti in cui indossava abiti con questo genere di stampa, ripresa anche dal poliedrico artista Louis Carrogis, meglio noto con lo pseudonimo di "Carmontelle". Poco prima dello scoppio della Rivoluzione Francese, la rivista Magasin des Modes proponeva spesso modelli con righe verticali in due colori, tanto per gli uomini quanto per le donne. Le righe furono adattate alle varie mode, dagli abiti cosiddetti “à la polonaise” alle sobrie mise influenzate dall'anglomania, e restarono in voga anche nel periodo della Rivoluzione.
Si trattava infatti di una stampa che poteva essere indossata tanto da Madame Royale (la figlia maggiore di Luigi XVI e Maria Antonietta) quanto da una sans-culotte. In molte illustrazioni dell'epoca, si possono vedere capi caratterizzati dalla presenza delle righe, dai gilet e i pantaloni portati dagli aristocratici e dai borghesi fino agli abiti e alle gonne indossati dalle truci mogli dei rivoluzionari. Del resto, non dimentichiamo che la coccarda a righe blu, rosse e bianche era uno dei simboli della rivoluzione!
Le righe non sono mai scomparse. In formato verticale, erano un classico del periodo Regency, su abiti e cappotti a vita alta. Per tutto il secolo, una delle loro varianti maggiormente presenti nella pittura fu quella in bianco e nero, come mostrano, ad esempio, le opere di Auguste Renoir. Quando la crinolina divenne di moda, intorno al 1860, questa stampa decorò anche i voluminosi abiti in tarlatana (un cotone inamidato) che Claude Monet immortalò a propria volta. Uno dei più celebri esempi di vestiti di questo genere è quello appartenuto a Mary Todd Lincoln, moglie del 16° presidente degli Stati, che nel 1863, in piena Guerra di Secessione, fu ritratta con indosso un abito a righe bianche e nere con fiori magenta. A disegnarlo fu Elizabeth Kekley, una donna nata schiava, che finì per diventare la sarta di fiducia della First Lady.
Sebbene le righe verticali fossero onnipresenti negli abiti formali, il motivo caratterizzò anche le creazioni dalla vocazione più sperimentale. In un periodo storico in cui il corsetto veniva criticato tanto per motivi estetici quando per considerazioni legate alla salute, la stilista Emilie Flöege, compagna di vita di Gustav Klimt, fu tra coloro che scelsero di metterlo al bando, proponendo abiti dalla silhouette ampia, percorsi da righe verticali. Valentino li avrebbe presi come riferimento per la sua collezione autunno inverno 2015 2016.
All'inizio del Novecento, la stampa a righe verticali figurava nei look della Belle Époque, ma fu negli anni Venti che le sue possibilità espressive andarono ampliandosi grazie a un'ampia gamma di riferimenti culturali. Il dinamismo delle linee Art Déco, visibile anche sulle copertine di riviste come Vogue, caratterizzava gli abiti immortalati dai fratelli Seerberger, padri della fotografia street style. Louise Boulanger fu tra i talenti della moda che diedero delle righe un'interpretazione particolarmente art-oriented, abbinandole invariabilmente al cappello a cloche. Gli sport all'aria aperta, da parte loro, contribuirono all'introduzione delle righe orizzontali. Nel 1925, ad esempio, la copertina della rivista femminile Modern Priscilla mostrava una donna che giocava a golf con un completo a righe orizzontali. Nel 1929, Edward Steichen fotografò Margaret Shea in posa con un abito Chanel a tre pezzi con righe orizzontali. In riva al mare, Mademoiselle sarebbe stata una delle principali artefici del successo delle righe orizzontali, ma di questo parleremo più avanti.
Come è stato dimostrato nel corso di oltre duecento anni, pochi motivi sono altrettanto democratici (o versatili) delle righe. La metà del XX secolo fu un'epoca in cui dettero prova, ancora una volta, della loro capacità di adattarsi a qualsiasi occasione. John Rawlings fu tra i fotografi che immortalarono per i posteri alcuni degli abiti a righe più eleganti degli anni Quaranta: potevano mixare tonalità delicate come il marrone e il talpa oppure presentarsi a blocchi di colore. Se negli anni Trenta lo stilista Lucien Lelong propose righe che oggi potrebbero passare per animalier, nei Cinquanta Cristóbal Balenciaga optò per la combinazione sempre vincente del bianco e delnero per un abito ricamato di fiori e cristalli.
Ma non era solo l'alta moda a puntare sulle righe. Vogue mostrava le sue modelle con chemisier stampati a righe, come l'abito di raso immortalato da Clifford Coffin nel 1945. Strizzati in vita, con bottoni e piccoli colletti, apparvero più volte sulle pagine della rivista, oltre che in ritratti di celebrità e attrici, come quello di Ingrid Bergman firmato da Horst P. Horst nei primi anni Quaranta. La stilista americana Claire McCardell, che era la praticità fatta persona, utilizzò la stampa a righe per abiti funzionali e pantaloni corti, optando per materiali semplici, come il denim.
Il fatto che la gioventù fosse al centro dell'attenzione della fashion industry ha profondamente influenzato la concezione della moda negli anni Sessanta. Il decennio vide un profluvio di stampe che portò le collaborazioni tra moda e arte a un livello inedito. Il movimento artistico noto come Op Art trasferì alla moda le sue righe e quadretti ipnotici: Roberto Capucci giocò con i loro effetti, Mary Quant con i total look, persino nel leggendario film Qui êtes-vous, Polly Maggoo? (1966). Qualche anno prima, la stessa Quant aveva presentato il “Georgie dress” (1962), un abito che utilizzava il cotone con un motivo a righe ispirato ai tessuti utilitari, come quelli dei grembiuli dei macellai.
Oltre che di bianco e nero, il guardaroba si riempiva di colori vivaci. Tonalità contrastanti come il giallo, il verde o l'arancione potevano essere utilizzate per abiti eleganti, ma anche per dare un tocco più casual al look. I pigiama palazzo in raso di Emilio Pucci rappresentavano un modo nuovo, diverso, di guardare alla moda: si poteva essere casual, ci si poteva divertire, senza rinunciare all'eleganza.
Se ci fosse una stagione dell'anno a cui associare le righe, questa sarebbe senza dubbio l'estate. Il riferimento più immediato sono le righe orizzontali cosiddette “à la marinière”, un motivo iconico, se mai ve n'è stato uno. Nella seconda metà del XIX secolo, era diventato più accettabile per le donne praticare attività all'aperto. Dal punto di vista della silhouette, gli indumenti "sportivi" dell'epoca, che potevano essere indossati per il tennis, la vela o una passeggiata in riva al mare, erano ancora restrittivi, ma erano ravvivati da stampe a righe, probabilmente perché queste ultime erano associate alla nautica o perché, semplicemente, erano allegre e irradiavano vitalità.
L'affermarsi dell'usanza di frequentare la spiaggia in estate ha esercitato un'influenza determinante sull'evoluzione dell'approccio al motivo a righe. Come già accennato, a Coco Chanel si attribuisce il merito di aver reso di moda la cosiddetta maglia marinière (o maglia bretone), cosa che, a ben vedere, è del tutto plausibile: dal suo negozio di Deauville, la couturière vedeva passare di continuo marinai le cui uniformi presentavano questo motivo, adottato per decreto dalla Marina francese fin dal 1858. Lei stessa indossava una T-shirt con righe marinière abbinata a pantaloni maschili. Il resto è storia. Queste righe sono state indossate da icone di stile come Audrey Hepburn e Brigitte Bardot, oltre a essere state una delle ossessioni di Pablo Picasso. Jean Paul Gaultier ne ha fatto il pattern distintivo della propria maison, reinterpretandole più e più volte in passerella.
Già alle origini, tuttavia, lo stile marinière, non riguardava solo la parte superiore dell'outfit. Fare vita di spiaggia e bagnarsi in mare richiedevano un abbigliamento adeguato. Sebbene fossero piuttosto ingombranti e coprenti a beneficio del comune senso del pudore, i primi costumi da bagno da donna esibivano motivi a righe in colori come il rosso e il bianco. Jean Patou, insieme a Coco Chanel, fu un altro degli stilisti che scelsero di introdurre una nota sportiva nelle proprie creazioni, rendendole più comode. I suoi costumi da bagno a due pezzi proponevano un'interpretazione particolarmente raffinata delle righe marinière. Famosi anche i costumi da bagno di Claire McCardell, che nel 1942 ne lanciò uno dalla linea convessa all'altezza dei fianchi. Un design agli antipodi del successivo monokini degli anni Sessanta: Rudi Gernreich propose addirittura una culotte a righe che lasciava il petto scoperto, un vero e proprio schiaffo al pudore!
In formato abito, le righe dimostrano di essere un motivo che non passerà mai di moda: basta guardare fotografie di capi A-line degli anni Cinquanta o degli anni Novanta per rendersi conto che, a distanza di decenni, restano un basic infallibile da mettere in valigia.
Le righe possono essere qualsiasi cosa. Classiche, all'avanguardia e, naturalmente, etniche. Si tratta infatti di un motivo ricorrente nel costume locale delle più diverse culture, e vari stilisti lo hanno esplorato in questa sua declinazione. Uno di loro è stato Yves Saint Laurent, che nella seconda metà degli anni Settanta si è lasciato trasportare dall'esotismo di vari universi culturali. Si pensi, in proposito, all'abito ispirato al flamenco della sua collezione primavera estate 1980. Un riferimento ripreso più tardi da Nina Ricci nella sua collezione Haute Couture autunno inverno 1991 1992.
Negli anni Settanta, l'apparizione su Vogue di capi a righe disegnati da Kenzo servì a illustrare con particolare chiarezza come la maglieria sia uno dei migliori alleati di questa stampa. Un'alleanza che ha trovato in Sonia Rykiel un'ardente sostenitrice. Dal suo esordio, nel 1962, la stilista si è caratterizzata per la proposta di capi che esaltano la silhouette, anche con accesi contrasti di colore. Non importa se siamo nel 1970 o nel 2020: nelle sue collezioni troveremo sempre qualche capo, un maglione, un paio di pantaloni, un abito, che si uniforma a questi principi.
La prorompente personalità dimostrata da questo motivo negli anni Sessanta riapparirà con gli "eccessivi" anni Ottanta. In versione maxi, era un pattern perfetto da abbinare ai gioielli XL di quel periodo. Gianni Versace lo propose giocando con gli effetti ottici in un look da “donna in carriera” del 1986.
Ma non si tratta solo di decenni, ovviamente. Molto dipende dalla sensibilità del designer. Per la primavera estate 1992, Miuccia Prada si ispirò ai tessuti croccanti degli anni Cinquanta per presentare una collezione con diversi outfit che reinterpretavano lo stesso tessuto a righe bianche e rosse in abiti, camicie e persino total look. Queste mise estive non avevano nulla a che vedere con gli abiti a righe grunge di Comme des Garçons che Arthur Elgort avrebbe fotografato solo un anno dopo. E Kurt Cobain, dal canto suo, sarebbe diventato la prova vivente del fatto che le righe, a conferma della loro vocazione camaleontica, potevano anche essere… “spettinate”.
Le righe tornano protagoniste nelle collezioni estive primavera estate 2024, come nelle foto del servizio di Grace Ahlbom, styling di Jordan Bickham, uscito sul numero di Vogue Italia di Luglio
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Vogue Spain.