Donne e lavoro, Elisa Lupo: «Servono servizi per le famiglie, non solo per le lavoratrici»

In Italia, una donna su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio, una su due dopo il secondo. Elisa Lupo, consulente del lavoro e autrice del podcast Previdenti, spiega perché e cosa si potrebbe fare per evitarlo
Donne Lavoro
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Secondo l’ultimo rapporto Le Equilibriste di Save The Children, al Sud l’occupazione delle donne con figli si arena al 39,7%, contro il 71,5% del Nord. La percentuale di lavoratrici si abbassa parecchio tra chi ha il diploma della scuola superiore (60,8%) e precipita al 37,4% tra chi ha solo la licenza media. Quando il lavoro per le donne c’è, un terzo delle occupate ha un contratto part time (32% dei casi contro il 7% degli uomini). Un quadro poco favorevole alle madri lavoratrici emerge anche in merito alle dimissioni: in Italia, una donna su cinque dà le dimissioni al lavoro dopo il primo figlio, una su due dopo il secondo. A comprovare questo bilancio delle sfide che le donne lavoratrici devono affrontare quando diventano mamme è anche Elisa Lupo, consulente del lavoro nonché autrice del podcast Previdenti, impegnata in attività di divulgazione su pensione e diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Perché, nonostante i passi in avanti in materia di diritti riconosciuti, si continua a registrare un alto tasso di dimissioni forzate o licenziamenti a seguito della gravidanza?
«La condizione lavorativa delle donne, in particolare delle madri, nel nostro Paese è ancora ampiamente caratterizzata da instabilità e precarietà, perché manca un sostegno alla cura. Abbiamo tanti provvedimenti per il sostegno e la tutela della gravidanza, ma poco o nulla per la cura della famiglia. Precarie o addirittura inesistenti sono anche le politiche per la promozione dell’equità nel carico di cura familiare che, tuttora, a causa di un retaggio culturale secolare ricade sulle donne. Per tale motivo, tante devono rinunciare al lavoro, non sussistendo le condizioni necessarie a far coesistere il loro ruolo di madri e lavoratrici».

Però con l’approvazione dell’ultima Legge di Bilancio sono stati introdotti provvedimenti a favore delle famiglie e in particolar modo delle madri lavoratrici con figli minori.
«Sì, l’ultima Legge di bilancio ha introdotto l’esonero contributivo per le lavoratrici madri, della durata di un anno per le mamme con due figli e di tre anni per le madri con tre figli, assunte a tempo indeterminato. Per i nuovi nati del 2024, è stato innalzato a due mesi il congedo parentale facoltativo indennizzato all’80%, di cui potrà usufruire chi termina la maternità obbligatoria in quest’anno. Inoltre ha innalzato a 2.000 euro i fringe benefit che i genitori di figli minori potranno percepire e non concorreranno a formare reddito. Tutte queste agevolazioni, però, non prevedono automaticità, vanno richieste e documentate. Pur andando nella giusta direzione, non sono che timidi passi sul fronte del sostegno alla genitorialità. Per sostenere realmente le madri lavoratrici nonché le famiglie, occorre intervenire in modo integrato su più livelli.

Ovvero?
«Urgono misure strutturali e non transitorie come buona parte di quelle promosse dall’ultima Legge di bilancio, per giunta indirizzate unicamente alle lavoratrici subordinate a tempo indeterminato. Servono misure più ampie che consolidino la rete di welfare e permettano di programmare la vita familiare».

Quindi neanche il bonus asilo nido è utile?
«Ogni misura a sostegno delle famiglie e delle madri lavoratrici è un passo avanti, ma spesso non basta. Per il 2024 è stato confermato il bonus asilo nido che per le famiglie con ISEE più basso può arrivare a 3.600 euro annui. Un importo che nelle grandi città non permette sicuramente di coprire l’intera retta annuale di un asilo nido privato. Da ciò si deduce che il sistema tende sempre a basarsi sulla rete di aiuto familiare, lì dove c’è, e non sul supporto indistinto dello Stato alle famiglie».

Invece al bonus mamme possono accedere tutte le madri lavoratrici?
«Purtroppo no, si tratta di uno sconto sui contributi a carico delle lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato. Il requisito per il 2024 è avere almeno 2 figli, di cui il più piccolo sotto i 10 anni. Per il 2025 e il 2026 potranno beneficiarne solo le lavoratrici con almeno 3 figli, di cui il più piccolo minorenne. È una misura transitoria con un beneficio limitato, visto che la parte di sconto contributivo è soggetta a tassazione ordinaria».

In che modo si può ridurre il gender gap, rendendo il mondo lavorativo più inclusivo?
«Per aumentare la percentuale di donne occupate è necessario che le misure di supporto siano destinate alle famiglie e non solo alle lavoratrici. In tal modo si distribuirebbero le responsabilità e i benefici del ruolo di cura su entrambi i genitori, garantendo maggior equità tra uomini e donne a livello lavorativo, salariale, ma anche culturale. Per rendere il mondo del lavoro più inclusivo, servirebbe che i servizi a supporto delle famiglie fossero accessibili a tutti e non solo a chi gode di determinate condizioni limitanti e limitate. Tutte le famiglie meritano supporto».