Dune – Parte 2 è un film magnifico e spettacolare, ma non fate un sequel

Il secondo film di Dune di Denis Villeneuve arriva finalmente al succo della vicenda e trascina lo spettatore in una storia sulla brama di potere e sui pericoli del fanatismo religioso. Ma, per il bene della saga stessa, non dovrebbe avere un nuovo capitolo. La recensione
dune parte 2 timothe chalamet
Courtesy of Warner Bros. Pictures

Il primo film di Dune della nuova era di Dune (vale a dire, la versione del regista Denis Villeneuve del classico della narrativa fantascientifica di Frank Herbert, al contempo desolato e massimalista) era molta apparenza e purtroppo poca sostanza. Il film, grazie alla strabiliante pioggia di arancioni infuocati e neri minacciosi della fotografia di Greig Fraser, era un prodigio estetico, accentuato dalla lamentosa colonna sonora di Hans Zimmer che accompagnava la nobile Casa Atreides (compreso il giovane erede Paul, interpretato da Timothée Chalamet) mentre si trasferiva sul pianeta desertico Arrakis dove subiva ben presto un terribile attacco da parte dei loro rivali galattici, la malvagia Casa Harkonnen. Dune suggeriva grandiosità, ma la sua bellezza nascondeva una narrazione esile, ricca di atmosfera più che di azione avvincente.

Questo in gran parte perché Dune, in realtà, è una prima parte: un preambolo, che prepara elaboratamente la scena per Dune – Parte 2 (nelle sale dal 28 febbraio), in cui si arriva al vero succo della storia. Parte 2 è quindi un film più coinvolgente, una robusta epopea spaziale su rivoluzione e fervore religioso costruita a partire dalla raccolta di immagini dello storyboard del primo film.

Paul e sua madre, Lady Jessica (Rebecca Ferguson), vivono ora con i Fremen, nativi di Arrakis che da decenni sono in guerra con le potenze coloniali. Il capo tribù Fremen Stilgar (Javier Bardem) e la formidabile guerriera Chani (Zendaya) hanno arruolato Paul per aiutarli nelle incursioni di guerriglia contro gli Harkonnen, che hanno preso il controllo del pianeta e lanciato una campagna per annientare le popolazioni indigene. Chani è innamorata di Paul e ne intuisce il valore militare, mentre a guidare Stilgar è una convinzione molto più profonda: crede, insieme a un numero crescente di religiosissimi Fremen, che Paul rappresenti il compimento di una profezia, ovvero sia un messia inviato su Arrakis per liberare i Fremen dalla sottomissione.

Paul sa che a propagandare questo mito è l’onnipotente sorellanza esoterica delle Bene Gesserit, di cui sua madre fa parte, e si guarda bene dall’alimentare una menzogna destinata a tenere i Fremen in ostaggio di un potere superiore extra-planetario. Inoltre, sta facendo un inquietante sogno ricorrente, un’altra specie di profezia più credibile di cui teme il compimento sopra ogni cosa.

Eppure, è un giovane uomo che, per sua natura, avverte una sorta di richiamo innato al potere. L’idea di poter un giorno superare in forza e influenza addirittura il venerato defunto padre è inebriante. La tentazione si insinua in lui. È questa la tensione interessante di Dune - Parte 2: Paul cederà a queste pressioni, esterne e interne, per diventare un grande leader, pur temendo che quella strada porti alla rovina?

Mentre Paul lotta contro i suoi impulsi, il film mette in scena una serie di sequenze sbalorditive. C’è un’esaltante incursione su un’imponente macchina per il raccolto; c’è un primo atroce tentativo di cavalcare uno degli enormi vermi che si fanno strada nel deserto. Ci addentriamo nel fronte imponente di una tempesta di sabbia, verso un paese sconosciuto. C’è anche un viaggio fuori dal pianeta, nella nera dimora illuminata dal sole degli Harkonnen, dove incontriamo il nobile Feyd-Rautha, lo spietato assassino interpretato con tono stizzito e portamento solenne degni di nota da Austin Butler, la migliore nuova aggiunta al cast.

Per quanto sovraccarico di luci e suoni, Dune - Parte 2 è spesso sorprendentemente agile. La regia di Villeneuve ha avuto spesso difficoltà a bilanciare aspetti narrativi e visivi, ma qui riesce quasi a calibrare esattamente il tutto. È solo verso la fine del film, un poderoso crescendo in cui si compiono scelte importanti in grado di cambiare l’universo, che il film inciampa nel suo stesso slancio. La complessa evoluzione di Paul è lenta e costante finché, all’improvviso, non si muove a rotta di collo. Si ha l’impressione di aver saltato un passaggio descrittivo cruciale per poter arrivare all’imponente sequenza finale. Chalamet è bravissimo a comunicare le tormentate ambizioni di Paul, ma fatica a renderle leggibili quand’è davvero importante, perché Villeneuve non gliene ha dato il tempo.

Il tempo è decisamente fondamentale in Dune, che si basa su un groviglio di miti più denso di un buco nero. Parte 2 riesce per lo più a destreggiarsi tra le sue numerose componenti e in effetti arriva a una conclusione soddisfacente. Ma è più la fine di un capitolo che di un’intera saga. I futuri film, se mai ci saranno, accorderebbero a Villeneuve lo spazio temporale per approfondire ciò che qui si limita ad accennare. Presumibilmente vedremmo di più, per esempio, della Principessa Irulan (Florence Pugh), la figlia dell’Imperatore (Christopher Walken), che quando finisce Dune - Parte 2 ha appena iniziato a farsi strada nella storia.

Ma quanti di questi film possiamo davvero aspettarci da Villeneuve? Si tratta di kolossal che richiedono anni per essere realizzati. Immagino sia per questo che Villeneuve (autore della sceneggiatura insieme a Jon Spaihts) decide di chiudere tutte le porte che lascia aperte. Dune - Parte 2 funziona abbastanza bene come conclusione, ma potrebbe anche fare da ulteriore trampolino di lancio. Se Paul proseguirà verso il suo pericoloso destino dipenderà ovviamente dalla costanza dell’interesse di Villeneuve e dalla disponibilità della casa di produzione. Se l’arco di Dune dovesse concludersi qui, però, andrebbe più che bene. Un’impresa, se si considera quanti aerei (o meglio, astronavi) Villeneuve ha dovuto far atterrare.

Dune si trova in una posizione difficile. Dimostra ai piani alti che le saghe, se proprio devono esistere, possono essere magistrali, strane e cupe e suscitare comunque una famelica assuefazione, come facevano una volta i fumetti brillanti per un vasto pubblico. Ma potrebbe essere una vittoria di Pirro, che finirebbe per alimentare una mentalità da franchising che erode da tempo la capacità di innovazione di Hollywood.

Per la salute a lungo termine dell’industria cinematografica, quindi, sarebbe meglio se Villeneuve e la Warner Bros. prendessero una specie di posizione di principio e lasciassero che Dune si concluda così, si fermassero qui e avessero il coraggio di dire che un raro successo artistico e commerciale può e deve essere unico, anziché limitarsi a reimmetterlo nella linea di produzione finché il prodotto non perde ogni valore. Dune - Parte 2 amplia la promessa del suo predecessore e la mantiene. Perché allora rischiare di guastare un successo del genere nella sconsiderata ricerca di un impero?