Il nuovo Iyo: come si mangia nel più famoso ristorante giapponese in Italia

Ha riaperto a Milano, dopo un restyling totale, il primo stellato Michelin che vuole ridefinire gli standard della cucina nipponica, puntando al bis. Ecco com'è
Iyo ristorante milano
Tartare di scampo, stracciatella, ponzu al passion fruit: uno dei piatti, tra Italia e Giappone, del nuovo Iyo a Milano.

Claudio Liu ha il sorriso (stanco) di chi ha seguito per mesi il colossale lavoro di restyling del suo Iyo, il ristorante a Milano di cucina giapponese (contemporanea) diventato senza ombra di dubbio il più famoso in Italia. «Adesso abbiamo la macchina per consentire il salto di qualità che sognavo da tempo e ridefinire gli standard di qualità, in ogni aspetto, a partire dai piatti» spiega.

È una riapertura importante, molto attesa a Milano e non solo, per il locale in via Piero della Francesca 74: si tratta del primo ristorante di cucina non italiana - un tempo si diceva etnica - che ha conquistato la Stella Michelin nel 2016, undici anni dopo l'inaugurazione. Claudio, aiutato dai fratelli Marco e Giulia (poi diventati anch'essi patron rispettivamente di Ba e Gong), serviva ai tavoli piatti molto più semplici di quelli di oggi, ma già con un tocco in più. Oggi guida un piccolo impero che oltre al rinnovato Iyo comprende l’altro stellato Aalto (nell’omonima piazza all’ombra dei grattacieli di Porta Nuova) che propone una cucina in cui le ispirazioni orientali si fondono con altre cucine, Iyo Omakase nella stessa sede di Aalto, tra i primi locali in Italia a proporre l’esperienza della degustazione ‘live’ con il maestro del sushi che serve i clienti seduti al bancone, e il delivery e take away Aji.

Come è il ristorante Iyo

Per capire il rinnovato Iyo bisogna dimenticare quello vecchio, tutto salette e muri in pietra. Sicuramente suggestivo e molto ‘giapponese’, amatissimo da molti. Ora c'è una visione più internazionale e innovativa, proprio per staccarsi da quella precedente, imitata da molti a Milano. Una volta messa al bando l'inevitabile nostalgia, bisogna ammettere che il posto è lineare ma con grande personalità. La sala principale prevede una serie di tavolini rotondi verso la finestra e un'altra fila che può contare anche su divanetti.

Pezzi di design made in Italy dialogano con materiali di pregio come legno, marmo Patagonia, pietra naturale. Molta attenzione è stata anche posta alle soluzioni tecnologiche per la gestione dell’illuminazione, dell’acustica e della qualità dell’aria, della sua circolazione, della sua temperatura e umidità, sia negli spazi destinati alla clientela sia nelle aree di lavoro. Il nuovo Iyo ha una superficie di 800 metri quadri totali, ben 300 in più di prima, ma solo due coperti in più e questo è ovviamente un pregio. Ci saranno anche due nuove sale privatizzabili e un lounge bar per un aperitivo prima della cena o un bicchiere della staffa. La cocktail list è ben pensata, a partire dal signature drink che si chiama Loto.

Due percorsi

Quando Liu parla di ‘macchina’, sottointende la nuova, enorme cucina che aggiunge la griglia robatayaki e la zona per le cotture al vapore. In brigata, ad affiancare Katsumi Soga - storico maestro del sushi - e il pastry chef Luca De Santi, è arrivato Simone Tricarico, milanese di origine calabrese, che è passato nelle migliori corti transalpine per diventare poi uno dei più noti collaboratori di Giancarlo Perbellini. A lui viene chiesto di rendere ancora più importante la cucina ‘cucinata’, unendo tecniche ed ingredienti di mondi diversi. Già un valido esempio, assaggiato, è quello del Piccione cotto al robata con kombu confit e daikon al sesamo: Italia e Giappone declinate con un'idea nuova. Con un rosso della grande cantina di Iyo, con ampia presenza di Francia, va dritto al cuore e al palato. E' un piatto di uno dei due percorsi, il Faccio Iyo (a 150 euro) mentre l'altro, studiato per una maggiore condivisione, costa 135 euro a persona. I prezzi, per la cronaca, nonostante il restyling sono rimasti gli stessi al momento della chiusura.

Tra classici e novità

C'è anche una carta ricchissima, divisa per sezioni e dove prevale l'anima giapponese tra classici (resta clamoroso lo Zuke maguro ossia il tonno scottato e marinato con salsa di soia e wasabi), kobachi, nighiri e uramaki del giorno (sempre a punto), tempura, paste e zuppe, piatti al già citato robotayaki, i gyoza le ‘creazioni’ come il Suzuki ceviche. Non manca una sezione green e novità assoluta per Iyo, ecco spuntare il pane: al vapore, fritto, servito ancora fumante per essere spezzato a mano ed assaporato come vera e propria portata. Evidente la ricerca di nuove frontiere, spingendo sull'italianità: tempura di friggitelli tra gli amuse-bouche (questi da migliorare, insieme ai dolci che possono crescere in personalità), un goloso scampo, stracciatella e salsa ponzu, un originale gyoza alla milanese dove il ripieno è a base di carne di vitello e la crema ovviamente allo zafferano. I fedeli non si preoccupino, non è vera rivoluzione: come detto ci sono ancora i signature dish, come l'Ika somen (crudo di calamaro sfrangiato, uovo di quaglia, caviale) e l’Hotate usuzukuri, carpaccio di capasanta, vinaigrette allo yuzu, umeboshi e polvere di shiso rosso.

Servizio perfetto

Giudizio? Positivo, ma non è una sorpresa considerando l'esperienza di Iyo e l'attenzione maniacale del patron a ogni elemento, partendo da un servizio che non commette un solo errore senza perdere nulla in empatia. I piatti non puntano a stupire con l'estetica (comunque mai banale) ma con l’apparente semplicità: grande leggibilità, insomma, basata su pochi ingredienti di altissimo livello (i crudi lo dimostrano) e tecnica perfetta. Considerando che ha aperto il 15 giugno, raramente si trova un ristorante così già in assetto: del resto, anche se Claudio Liu lo negherà all'ostinazione, nel mirino c'è la seconda Stella Michelin che farebbe storia in Europa. Può farcela.