Lo sciopero degli attori di Hollywood: tutto quello che c'è da sapere

Chi incrocia le braccia, chi è la leader, che cosa chiedono gli interpreti di film e serie tv e perché hanno paura dell'intelligenza artificiale. La protesta spiegata a punti
matt damon oppenheimer londra
HENRY NICHOLLS/Getty Images

Gli sceneggiatori hanno iniziato a maggio, dal 13 luglio anche gli attori si sono uniti alla protesta. È il più grande sciopero di Hollywood degli ultimi anni: era dal 1960 che attori e sceneggiatori non scioperavano compatti. Allora, a guidare la protesta c'era un certo Ronald Reagan, oggi la leader è Fran Descher e le rivendicazioni sul tavolo delle trattative sono diverse. Ecco tutto quello che c'è da sapere.

Chi sciopera?

Lo sciopero è stato indetto il 13 luglio dal sindacato degli attori americani Sag-Aftra (nato nel 2012 dalla fusione tra la Screen Actors Guild e l'American Federation of Television and Radio Artists), dopo la rottura delle trattative con l'AMPTP (Alliance of Motion Picture and Television Producers), che rappresenta i boss degli studios, la controparte, l'industria hollywoodiana. Sag-Aftra conta circa 160mila iscritti: attori di film e serie tv, ma anche presentatori radiofonici, modelli e youtubber.

Che cosa chiedono gli attori?

L'ultimo accordo tra sindacato e studios è stato firmato nel luglio 2020. Sarebbe dovuto scadere il 30 giugno, da qui l'inizio delle trattative. Attori e sceneggiatori chiedono ai servizi di streaming un aumento dei diritti residuali, cioè di alzare le royalty che vengono pagate quando un film o una serie tv vengono messi online sulle piattaforme. Le serie in streaming di solito sono composte da un numero di episodi molto inferiore a quello delle serie televisive classiche: una volta, se una serie tv aveva successo e ne venivano trasmesse le repliche, agli attori e agli sceneggiatori veniva pagata una lunga serie di royalty per i diritti residuali. Oggi lo streaming li ha danneggiati, riducendo i compensi. Il sindacato chiede che i diritti residuali vengano calcolati per una parte sui dati di ascolto dei servizi di streaming, ma gli studios - tra i quali figurano Netflix, Amazon e Disney - non vogliono condividere questi dati.

L'altra richiesta verso l'industry riguarda l'uso dell'intelligenza artificiale nelle produzioni cinematografiche e televisive: esigono garanzie per far sì che l'IA non sostituisca le persone e salvare quindi posti di lavoro. Il punto più critico è stabilire chi sia il proprietario dell'immagine di un attore nel caso in cui l'IA la riproduca.

Chi è la leader della protesta?

A guidare la protesta è la leader del sindacato Fran Drescher, che forse ricorderete nella serie televisiva degli anni '90 La tata. Dopo un inizio incerto, in cui è stata travolta dalle critiche per essere partita per l'Italia per un servizio fotografico con Kim Kardashian mentre le trattative andavano a rotoli, Drescher è riuscita a capovolgere la sua immagine e quella dello sciopero. Con piglio incendiario e un po' populista, in un discorso già famosissimo ha attaccato frontalmente i capi degli studios: «Si dichiarano poveri, dicono che perdono soldi a destra e a manca mentre danno centinaia di milioni di dollari ai loro amministratori delegati. È disgustoso. Si vergognino». E ha chiuso invocando addirittura lo spirito della Rivoluzione francese: «Alla fine il popolo abbatterà i cancelli di Versailles, e allora sarà finita!». La Révolution di Hollywood (speriamo non finisca con un nuovo Robespierre).

L'attrice Fran Drescher, leader della protesta a Hollywood.

Frazer Harrison/Getty Images

Chi sono i big che scioperano?

A sostenere per primi lo sciopero c'è un elenco di nomi della serie A di Hollywood. In una lettera della Sag-Aftra che annunciava la mobilitazione c'erano già, due settimane fa, le firme di Meryl Streep, Jennifer Lawrence, Charlize Theron, Joaquin Phoenix, Jamie Lee Curtis, Olivia Wilde e Ewan McGregor. Poi è arrivato George Clooney, che ha preso posizione definendo lo sciopero «un punto di svolta nel nostro settore». Matt Damon e tutto il cast di Oppenheimer, il film - di Christopher Nolan - più atteso della stagione insieme a Barbie, ha abbandonato il tappeto rosso dell'anteprima londinese in segno di solidarietà, poco prima che lo sciopero iniziasse ufficialmente.

È tutta colpa dello streaming?

È evidente che lo streaming ha rivoluzionato l'intero sistema di produzione ma anche di fruizione di film e serie tv. Via i film a medio budget o le vecchie «serie tv lineari», cioè i telefilm classici da centinaia di puntate. La fonte di guadagno delle piattaforme sono gli abbonamenti, e i film e le serie sono sostanzialmente il mezzo di promozione per arrivare a quei soldi. I prodotti televisivi o cinematografici stanno online in modo permanente, quindi il concetto di «replica» della tv tradizionale non è più applicabile: e i conteggi per le royalty da pagare si fanno più difficili. Una soluzione ci sarebbe: esistono già metri di valutazione per stabilire se un programma in streaming è un successo o no, le visualizzazioni. Più una serie è vista, più dovrebbero aumentare i diritti residuali, secondo il sindacato degli attori: ma le piattaforme non vogliono rivelare i dati.

L'intelligenza artificiale è davvero una minaccia?

Se fino a sei mesi fa nessuno a Hollywood pensava neanche lontanamente all'intelligenza artificiale, oggi l'accelerazione delle tecnologie ha trasformato il non problema in una minaccia per la sopravvivenza di un'intera categoria. Oggi le immagini generate dall'IA non sono ancora così sofisticate da essere in grado di sostituire attori in carne e ossa, ma la velocità con cui le cose si evolvono ha messo in allarme tutti nel sindacato. L'AMPTP, l'associazione che riunisce gli studios, ha dichiarato di aver offerto una proposta «innovativa» al riguardo, ma il capo negoziatore del sindacato degli artisti Duncan Crabtree-Ireland l'ha respinta brutalmente: «Hanno proposto la possibilità di scannerizzare le comparse e pagarle per un giorno di lavoro e il fatto che le loro aziende siano proprietarie di quella scansione, della loro immagine e possano usarla per tutto il tempo che vogliono su qualsiasi progetto, senza consenso e senza compenso. Se pensate che sia una proposta innovativa, vi suggerisco di ripensarci».

Ma gli attori non erano ricchi?

Hollywood è un'industria grande, anzi grandissima, in cui le star sono solo un gruppo di privilegiati milionari. La maggior parte non si avvicina minimamente ai grandi compensi dei divi. Matt Damon ha ricordato ai giornalisti le difficoltà di gran parte degli attori americani: «Ci vogliono 26 mila dollari per avere l'assicurazione sanitaria: molte persone sono al limite e i pagamenti dei diritti residuali li tengono a galla. Non si tratta di un esercizio accademico. Si tratta di cose reali, di vita o di morte».

Chi vincerà?

Staremo a vedere come andrà a finire, ma di certo la Sag-Aftra sta facendo sul serio e il pugno in faccia agli studios è di quelli che si sentono. Questione di peso: gli attori godono di una visibilità maggiore rispetto agli sceneggiatori, riuniti nel sindacato del WGA, che hanno iniziato a scioperare a maggio. Attori a braccia incrociate significa che le riprese, cioè la parte del processo produttivo più costosa, devono essere interrotte immediatamente. Ma gli effetti a catena dello sciopero non sono evidenti all'istante: i ritardi si vedranno tra mesi, con i film e le serie tv che non escono. Entrambe le parti sono impegnate in una guerra di resistenza: gli attori e gli sceneggiatori scommettono che la produzione di prodotti - già ridotta dopo il Covid - costringerà gli studios a tornare al tavolo delle trattative, mentre i boss fanno il pugno duro con i sindacati e aspettano di vedere crepe nella protesta.

Che cosa succede adesso?

Non ci sono solo i set bloccati: le condizioni della protesta della Sag-Aftra prevedono che gli attori non potranno più promuovere serie e film già realizzati. Ecco perché la prima londinese di Oppenheimer è stata spostata di un'ora: in modo che il cast potesse sfilare sul tappeto rosso prima della scadenza delle otto di sera. Il divieto di promozione si estende anche ai social media: le star ora non possono parlare dei loro prossimi lavori sui loro profili. Niente promozione in tv e neanche le interviste per la carta stampata e i siti: tutte le attività sono state cancellate.

E i festival?

Se le parti non troveranno in fretta un accordo, lo sciopero si farà sentire con tutta la sua potenza deflagrante nei prossimi festival: prima di tutto alla nostra Mostra del cinema di Venezia, poi Telluride e Toronto. Venezia, così come gli altri due festival, deve gran parte della sua attrattiva alla presenza delle star in Laguna. Ma senza divi a sfilare sul tappeto rosso o a rilasciare interviste ai giornalisti, che cosa ne sarà dei film e dell'evento più glamour dell'anno? Il direttore artistico Alberto Barbera dovrà capire come uscirne. Il film di apertura, per esempio, Challengers di Luca Guadagnino, che risonanza avrà senza le sue star Zendaya e Josh O'Connor sul red carpet? Solo i registi, che non fanno parte del sindacato degli attori, potranno parlare delle proprie opere.